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La pietra piasentina sgretolata dalla crisi

Negli ultimi quattro anni il fatturato del consorzio è diminuito del 30%. L'export cresce ma la burocrazia uccide: lente le autorizzazioni agli scavi

TORREANO. È una nuova Caporetto per le Valli del Natisone. La crisi economica sta letteralmente strozzando il mercato della pietra Piasentina i cui progetti di sviluppo sono andati in fumo dopo il 2009. Nell'ultimo quadriennio il fatturato ha inchiodato, arretrando anche del 25 per cento, e il mercato interno si è dimezzato. I produttori lanciano un grido d'allarme e chiedono aiuto alle istituzioni affinché i permessi a scavare siano gestiti con iter meno lunghi e farraginosi degli attuali. Il problema è sempre lo stesso: alla crisi congiunturale si aggiunge quella burocratico-fiscale.

Il distretto. Tra Torreano, San Pietro al Natisone, San Leonardo e Faedis si allunga il distretto della pietra Piasentina, l'unico artigianale del Fvg forte di una decina d'aziende (sette riunite nell'omonimo consorzio produttori fondato nel 1965) che danno lavoro a circa 100 persone. «E' bene chiarire – spiegano i soci dell'ente consortile – che non siamo predoni della terra come spesso la gente ama definirci e che le cave vengono aperte unicamente allo scopo di lavorare in loco il materiale, estratto facendo funzionare aziende che creano occupazione». Dati alla mano, per un'impresa con venti lavoratori, soltanto tre sono impiegati stabilmente in cava, il resto è dedito, invece, alla lavorazione della pietra all'interno degli stabilimenti produttivi.

La filiera. Quello della Piasentina è forse l'unico distretto regionale che può vantare una filiera completa: «La pietra è estratta in zona – spiega il presidente del consorzio Mario Laurino –, è poi trasportata nelle aziende e qui sottoposta ai vari processi di lavorazione, dalla fiammatura alla bocciardatura, dalla lucidatura alla sabbiatura, per poi prendere la via dei cantieri e adattarsi alle varie necessità. Siano esse d'interni o d'esterni. Grazie alla sua versatilità questo materiale dal fondo grigio con venature bianche si adatta alle più svariate esigenze. È un'ottima pavimentazione grazie al basso coefficiente d'inibizione all'acqua, ai carichi di rottura molto elevati e alla sua buona resistenza a flessione e usura oltre all'inalterabilità cromatica.

I mercati. Caratteristiche che l'hanno fatto apprezzare agli architetti ed impiegare in molte situazioni anche di pregio. Prima in Italia, poi all'estero, che è oggi il mercato sul quale stanno puntando – sarebbe più giusto dire: sono costretti a puntare – i produttori vista la flessione considerevole di quello interno. Dai 10,5 milioni di euro del 2008, nel 2011 il giro d'affari del distretto è passato a 9,3 milioni, ridotto di 1,2 milioni pari all'11,3 per cento, ma il segno meno peggiora se dal complesso delle imprese consorziate si tolgono un paio d'aziende che hanno retto alla crisi. In questo caso le perdite arrivano a toccare, in media, il 25 per cento, anche il 30 del fatturato. Per far fronte alla consistente riduzione, derivata soprattutto dalla frenata dell'edilizia e dei lavori pubblici in Italia, i produttori hanno iniziato a guardare all'estero e infatti i dati export sono incoraggianti: già dall'anno passato la quota delle esportazioni ha superato i livelli ante-crisi con un giro d'affari da 1,5 milioni di euro rispetto al milione e 300 mila del 2008 e con potenzialità di crescita ulteriori.

Il problema burocrazia. E' il tallone d'Achille dei produttori – non solo di quelli del comparto della pietra Piasentina –, il motivo che mette ulteriormente in crisi le imprese. «Ottenere un'autorizzazione a cavare è un'Odissea – spiegano –. Ci vogliono dai due ai sei anni per via di perizie, prove, richieste d'integrazioni a non finire». Richieste che i produttori chiariscono, «sono lecite», ma dovrebbero essere più rapide. Come? Il Consorzio ha le sue proposte: «Più volte abbiamo chiesto uno sportello unico – afferma il presidente Laurino – che resta una strada utile e andrebbe percorsa. Alle istituzioni chiediamo poi che mutino le autorizzazioni a cavare facendole durare fino alla fine del giacimento e ancora che ci garantiscano maggiore flessibilità dei progetti di cava, fermo restando l'obbligo di ripristino, perché non possiamo sapere cosa troviamo prima d'iniziare ad estrarre il materiale».

Soggetti all'assessorato regionale all'Ambiente i cavatori chiedono inoltre di tornare nelle cure dell'assessorato alle Attività produttive, «senza togliere i necessari rapporti con l'ambiente – concludono –, ma l'industria è più avvezza a ragionare in termini di produttività e posti di lavoro perché è bene ribadire che noi non siamo venditori d'inerti, ma lavoriamo la pietra e garantiamo posti di lavoro».

di Maura Delle Case

 

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