Le cave di marna
Le informazioni delle cave di marna, della teleferica, e di tutte le persone e società che ne sono state coinvolte, sono state raccolte e organizzate in un libro a tiratura limitata, dal dott. prof. Giampaolo Molinari:
"LA GJAVA DE PONCA"
Molinari ne ha curato ogni aspetto, dalle ricerche storiche alla stesura dei testi (in friulano ma anche in italiano) e al notevole contributo fotografico. Una copia del libro è stata donata dal professore alla biblioteca comunale di Torreano, a disposizione di chi voglia approfondire l'argomento. Le informazioni raccolte in questa sezione sono tratte dal libro stesso.
La teleferica
La teleferica faceva parte del paesaggio della valle del Chiarò al pari degli alberi, delle viti e delle case. Essa costituiva un'attrazione irresistibile per tutti i maschi fin da bambini. 1 più piccoli assistevano alle scalate dei grandi ai cavalletti, fino a toccare i vagoncini e, qualche volta, a salirvi dentro e farsi trasportare fino ad un altro cavalletto. Talora c'era anche chi usava la teleferica come mezzo di trasporto per salire al monte Noàs per la fienagione, per la raccolta delle castagne e per il taglio del bosco. I guardiani, naturalmente, cercavano di scoraggiare tale uso, ma c'era sempre chi ci provava ugualmente. E capitava anche qualche disavventura, come quando la teleferica si bloccava improvvisamente mentre il vagoncino, su cui uno era salito, si trovava sospeso tra due alti cavalletti. Talvolta, poi, arrivati a destinazione, c'era il guardiano ad aspettarti e allora erano duri rimproveri e minacce. Come quando mio zio Ettore ebbe l'idea di far salire anche me, di sette anni, su un vagoncino, preso al volo in una zona dove esso passava basso, all'altezza del borgo Burelli, verso la montagna di Mosedài. Al cavalletto tenditore del pian della scrofa c'era un manutentore di linea, Elvino Scampa, il quale, dopo che fummo scesi sani e salvi dal vagoncino, investì con una sfilza di improperi mio zio dicendogli tra l'altro: hai rischiato di ammazzare il bambino. Ma lo zio non era il tipo da prendersela molto per questi rimproveri. Fu, invece, un vero viaggio organizzato quello che Eugenio Scampa fece fare, nell'autunno del 1949, alla nuora Nella Jacuzzi, fresca di nozze, dal tenditore di Noas alle cavallette piccole, dove c'era ad aspettarla il marito, Oceàno. La teleferica in movimento generava nella valle un rumore di fondo continuo, dovuto al rotolamento delle carrucole sulla fune portante, intervallato da un rumore secco quando il vagoncino passava sui giunti della fune stessa o superava un cavalletto. In normali condizioni di funzionamento, la teleferica era anche un indicatore di tempo, quasi un orologio per coloro che lavoravano sul monte Noas, dove non si udivano i rintocchi del campanile di Torreano: infatti, essa iniziava la sua corsa alle 6 di mattina, faceva delle fermate di sevizio verso mezzogiorno per il trasporto del pranzo agli operai delle cave e, dopo qualche altra fermata per motivi tecnici, concludeva la giornata lavorativa alle 10 di sera.
La costruzione della teleferica
La decisione di costruire un nuovo impianto di trasporto della marna dalla Gnìviza a Cividale, per sostituire il poco efficiente trasporto con carri, si rese inevitabile appena qualche anno dopo l'avvio dell'attività estrattiva. Il costo dell'opera fù di 750.000 lire, una somma igente se confrontata con le 400.000 lire del capitale sociale del 1907. La teleferica viene progettata e costruita presumibilmente negli anni 1912 e 1913 e nel 1914 essa diventa operativa. Il Giornale di Udine del 13 marzo 1914, nella cronaca Da Cividale riporta tra l'altro:
La funicolare aerea che farà servizio dalle Cave di Torreano alla nostra stazione per il trasporto della marna per la Società Cementi di Udine è in via di prova e fra qualche giorno avrà luogo il collaudo e quindi il regolare funzionamento. Così fra breve vedremo migliorata la viabilità, che ora lascia molto a desiderare. Vittorio Malignani, classe 1909, racconta di avere visto una volta i vagoncini imbandierati di tricolori. Probabilmente non si trattava dell'inaugurazione, ma della festa per la vittoria del 1918. Il quotidiano udinese La Patria del Friuli del 18 luglio 1923 pubblica un servizio dal titolo Gli ingegneri del collegio friulano visitano gli impianti della Soc. Cementi, nel quale l'articolista descrive con toni epico-entusiastici:
- il viaggio nella Valchiarò in vista della filovia verso la Nidizza, come era allora indicata sulle carte topografiche la località della Gnìviza;
- il sito delle tre cave esistenti all'epoca;
- lo stabilimento, appena costruito a San Leonardo, dalla società Cementi del Veneto, nuova Società di Arturo, con sede a Padova.
In tale Società, costituita nel 1921 da Arturo e altri, entrò, il 3 marzo 1923, anche Malignani Pietro fu Francesco di Torreano Cividale per L. 20.000. Infatti, quel giorno, l'assemblea straordinaria della Società deliberava un aumento del capitale sociale, che veniva portato dalle L. 820.000 iniziali a L. 7.000.000.
Caratteristiche costruttive dell'impianto
La progettazione e la fornitura della tecnologia fondamentale per la costruzione della teleferica Cividale~Gnìviza venne affidata a tecnici austriaci e a una ditta cecoslovacca. Il tracciato della teleferica aveva inizio a Cividale nella fabbrica della Cementi del Friuli, a quota 136 m, attraversava la statale Cividale-Tarcento all'altezza dell'attuale CAP e. salendo dolcemente sopra orti e prati a frutteto nella zona del Castello, proseguiva verso le colline, che formano le pendici più basse del Monte dei Bovi. Dopo avere superato la strada militare e le modeste alture sul confine comunale Torreano-Cividale, la teleferica si presentava nella nostra valle con un cavalletto, vicino al tenditore di Pràdis, posto proprio sul crinale della collina sopra Cròstula (quota 220 m). Da là attraversava la zona di Pradis e, oltrepassato il Chiarò, superava la strada per Cividale una cinquantina di metri a valle del ponte di Vignis (quota 155 m), con un cavalletto largo quanto la sede stradale, posto a protezione di essa. Si inoltrava, poi, verso Mosedai ( 220 m), dove iniziava a salire sempre più ripida verso la Ronc (300 m) e, oltre i Brusinars, verso il monte Noas, dove scompariva alla vista dalla vallata (cavalletto n' 14, quota 408 m). Lassù, la teleferica giungeva all'altro tenditore, quello di Noas, situato sul pian della scrofa (quota 455 m), e, orinai con lieve salita, arrivava al punto zero, il punto di quota più elevata, situato sul pian del sasso a 548 m s.l.m.. Qui aveva inizio l'ultimo tratto: dapprima con una leggera discesa fino a vedere la cava della Gnìviza poi, con un balzo più ripido giù al falsopiano di Pozàlis, al cavalletto-ponte, posto sulla strada per Masarolis poco oltre l'osteria Rossi e, infine, sotto la tettoia dove venivano caricati i vagoncini (quota 315 m circa). Col tracciato descritto, la funicolare collegava con il minimo percorso le due stazioni poste agli estremi; essa aveva una lunghezza di circa 7,8 Km (7,2 Km circa in proiezione orizzontale) e comprendeva:
38 cavalletti; 5 ponti di attraversamento strade; 2 stazioni intermedie di tensione delle funi; un cavalletto detto punto zero. Le funi portanti erano lunghe, complessivamente, circa 8 Km, in tre tronconi, e avevano un diametro di 32 mm. la portante dei carrelli carichi e 23 mm. quella dei carrelli vuoti. Nelle stazioni di tensione i pesi per tendere le portanti erano di 140q e 70q, rispettivamente per la portante dei vagoncini carichi e per quella dei vagoncini vuoti. La fune traente aveva una lunghezza di circa 16 Km e un diametro di 18 mm. Il dispositivo per tenerla in tensione si trovava nel Tabocàn e veniva detto slitta. Le strutture in elevazione erano di legno, poggiate su basamenti di cemento e legate con piastre e staffe di ferro. Sulla fune portante erano appesi da 150 a 200 vagoncini o benne (uno ogni 80- 100 m circa) di ferro, agganciati alla fune traente. Ogni vagoncino aveva un ingombro di circa 80*60*50 cm, un volume utile di circa 1/8 di mc e trasportava circa 3q di marna. La capacità di trasporto dell'impianto, che funzionava normalmente dalle 6 alle 22, con soste solo per motivi di servizio per un totale di circa 6 ore, era di 200 tonnellate al giorno nel 1915. Nel 1924 la potenzialità oraria era di 70 vagoncini, ossia, per 10 ore giornaliere, di 700*3 q di materiale, 210 tonn., quasi come 9 anni prima. Calcolando su 300 giorni lavorativi si ottiene una quantità di marna trasportata non lontana dalle 70.000 tonn. annue. In anni successivi, la potenzialità oraria viene aumentata incrementando il numero dei vagoncini e, quando necessario, limitando al massimo le soste; in tal modo si raggiungono 600 tonn. al giorno di materiale trasportato. La forza motrice per azionare la teleferica era localizzata nello stabilimento di Cividale, dove erano collocati i motori elettrici trifase, che fornivano una potenza di 17Hp a 1260 giri al minuto sotto una tensione di 220 volt nel 1933 e di 42Hp nel 1942.
La forza motrice era azionata soltanto per l'avvio della teleferica, dovo ogni fermata; infatti, il lavoro princivale per il trasporto della marna era fatto dalla forza di gravità. che agiva sui vagoncini pieni. in discesa, tra le quote di partenza e di arrivo. con un dislivello netto di circa 180 metri.
L'impianto era dinamicamente così bene bilanciato che occorreva fare attenzione a non caricare troppo i vagoncini: infatti un aumento della tensione della fune traente era immediatamente segnalato dallo spostamento della slitta, il dispositivo di compensazione della lunghezza della traente situato nella stazione di arrivo a Cividale. Inoltre, un aumento eccessivo della velocità dei carrelli faceva entrare in funzione il motore, che frenava il movimento.
La "Cava Grande" - località Gniviza mt.319
Il primo cantiere di cava, denominato in seguito cava bassa, fu, nel 1903, quello situato proprio a ridosso dell'osteria della Gniviza. La cava si apriva ad una quota di circa 319 m, nel versante sinistro della valle del T. Chiarò di Torreano, alle pendici sud-occidentali di M. Craguenza (q. 912 m.). Alla medesima quota venne installata, negli anni 1912-1913, la stazione della teleferica al margine sud dell'ampio piazzale (70/75m circa), sul quale correvano i binari della decauville che trasportava il materiale alle tramogge di carico. Nello sviluppo successivo dei lavori di estrazione, una zona limitata del piano iniziale di scavo fu abbassata di circa 4 metri: a tale zona si accedeva con un tratto di galleria sotto il piazzale e i carrelli della teleferica venivano portati direttamente, con un anello di rotaia, fino al fronte di abbattimento, dove venivano riempiti di materiale. Nella relazione relativa all'ispezione eseguita il 18 agosto 1915 da un funzionario del Corpo reale delle miniere compare solo la cava bassa. Ma già nel 1924 la relazione del funzionario ispettivo mostra il notevole ampliamento dei lavori di estrazione: infatti in essa compaiono anche i cantieri della cava media, il cui piazzale di manovra si situa a 370 m circa, e della cava alta, che si apre ad una quota di circa 420m. Questi tre cantieri formano insieme la cava grande. Essa, nella relazione geologica dei 1974, quindi già 18 anni dopo la sua chiusura, viene così descritta: Il materiale è calcare marnoso e/o marna, di colore grigiastro (grigionerastro e grigio marrone in alterazione), a stratificazione mal delineata, estremamente fratturato in maniera irregolare, con diffuse vene di calcite. Il litotipo in oggetto appartiene alle bancate calcareo-clastiche gradate del complesso inferiore dell'Eocene. Il fronte di scavo ha forma ad anfiteatro; la parte centrale mostra pareti verticali, con tre alzate successive e due pedate, per un'altezza di circa 150-170 m; le pareti laterali anch'esse verticali o subverticalí sono notevolmente meno elevate e degradano fino a 10-15 m di altezza; nella parte orientale superiormente al calcare marnoso e alla marna affiora il flysch. 11 piazzale di cava largo, in direzione WNW-ESE, circa 70 m e profondo circa 75 m, è costituito in superficie da detrito minuto ed anche qualche blocco ... ... non si nota traccia di discarica ... ... dalle pareti di scavo si notano piccoli crolli di materiale minuto ... ... la cava è visibile solo recandosi in loco o sul versante opposto della valle; non comunque dalla strada provinciale, benché attigua, in quanto schermata da una barriera arborea, è visibile in modo disagevole, solo all'altezza dell'ingresso del piazzale. Il fronte di scavo è in gran parte popolato da vegetazione erbacea con radi cespugli e alberelli. Il piazzale di cava è abbondantemente inerbito e le zone laterali, a ridosso delle pareti, sia verso E che verso W, sono fittamente popolate da vegetazione erbacea, arbustiva e arborea (molto diffuse e sviluppate le acacie)... . La cava si sta reinserendo lentamente nel paesaggio.
Arturo Malignani e la società CEMENTI DEL FRIULI
L'ingresso di Arturo nel settore del cemento può essere considerato naturalmente come una corretta diversificazione degli investimenti da parte di un imprenditore avveduto, nel nostro caso, però, tale ingresso appare come una decisione strategica che riguarda il settore energetico. Infatti, la lampadina rappresentava solo il terminale utilizzatore dell'energia elettrica, così come le macchine elettriche per azionare i vari opifici presenti sul territorio e i motori per muovere le tramvie locali. La produzione di energia elettrica richiedeva, allora più di oggi, la disponibilità di grandi riserve idriche e, perciò, la costruzione di dighe di sbarramento di fiumi e torrenti e per costruire le dighe occorreva tanto cemento. La necessità di produrre in proprio il cemento era chiara ad Arturo fin dagli anni 1897-1900, anni della costruzione della diga dì Crosis, sul torrente Torre, vicino a Tarcento. E', quindi, degli anni immediatamente successivi l'avvio della ricerca di giacimenti di marna sul nostro territorio. Inizialmente Arturo Malignami pensava ad una cava situata più vicino a Cividale e perciò aveva fatto delle analisi su campioni dì materiale prelevato da Pietro Toffoletti e Pietro Malignani ai piedi della collina di Cuál e nel Tóf, ma poi, evidentemente non soddisfatto, aveva indirizzato le sue ricerche verso una località sita poco a nord di Canalutto. Là, Arturo si imbatte nei poderosi banchi di marna della Gniviza. La scoperta lo porta immediatamente alla decisione di fondare una Società per lo sfruttamento del giacimento appena scoperto e di avviare la costruzione della fabbrica di Udine per la produzione di cemento. Il 19 marzo 1907, con rogito notarile dei notaio Zanolli di Udine, viene costituita la Società mi accomandita semplice denominata Cementi del Friuti - G. D'odorico e C.
Il capitale sociale è di £ 400.000 (quattrocentomila).
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