La Roggia di Torreano
Giovanni Boccaccio, nella novella V della X giornata del Decameron, descrive il Friuli come una "terra quantunque fredda, ricca di belle montagne, e più fiumi, e chiare fontane", e noi crediamo che l'immagine sia applicabile a Torreano e alla sua vallata, anche se, in questo caso il fiume, o meglio il torrente, è uno soltanto: il Chiarò. In verità i fiumi del Friuli hanno uno spiccato carattere torrentizio e scorrono in alvei accidentati: non sono, quindi, corsi d'acqua agevolmente utilizzabili come fonti di energia idraulica per far girare le ruote dei mulini e dei battiferro, due 'fabbriche" indispensabili per l'economia agricola. Date le condizioni ambientali, i friulani hanno dovuto scavare numerosi canali o rogge, derivando le acque dai fiumi e dai torrenti prima che scompaiono sotto le ghiaie dell'alta pianura: soltanto a questo prezzo poterono ottenere corsi d'acqua di portata costante, utilizzabili come fonti di energia motrice e anche per soddisfare il bisogno d'acqua degli uomini e degli animali.
Si tratta, generalmente, di opere pubbliche molto antiche, come le due che prelevano l'acqua dal Torre a Zompitta, passano per Udine, e la scaricano rispettivamente nel Cormór a Mortegliano e nella fossa di Palmanova, ricordate per la prima volta in un documento del 1171; e numerose altre che scorrono silenziose per il Friuli, fra la pedemontana e la linea delle risorgive. In questo quadro si inserisce a pieno titolo la roggia di Torreano, che fu scavata, stando al verbale della Vicinìa del 9 gennaio 1795, "quasi tre secoli" prima, e dunque fra la fine del Quattrocento e il principio del Cinquecento: sono gli anni in cui i Veneziani progettano un canale - il futuro Ledra-Tagliamento, inaugurato il 5 giugno 1881 - capace di portare nuova acqua da Osoppo a Udine, per proseguire in alveo navigabile fino al mare. E quelli sono ancora gli anni in cui si scava il canale, detto la Brentella, che affianca il Cellina. La roggia di Torreano rientra dunque in un piano di interventi decisi dalla Repubblica Veneta, e ciò spiega anche "l'esenzione di varie Fazioni, e Gravezze pratiche" concesse dal Serenissimo Dominio ai Comuni che dovevano provvedere alla manutenzione dell'opera. Forse la roggia non fu realizzata tutta in quegli anni. Può darsi che già prima esistesse un canale che prelevava l'acqua dal Chiarò verso monte e la restituiva allo stesso torrente a valle di Torreano, dopo qualche chilometro per garantire un regolare flusso di acque a uno o due mulini, ma sembra certo che in epoca veneta il canale fu allungato fino a Cividale, o meglio fino alla scarico nel Natisone.
Come dire che la roggia serviva soprattutto alla vicina Città ducale, che aveva allora la forza politica necessaria per ottenere determinati stanziamenti per opere pubbliche. Giova ancora ricordare che in quel tempo il tracciato di una roggia si trasformava in una "direttrice di sviluppo ", perché l'energia che si poteva ottenere dall'acqua corrente non era utilizzabile lontano dal canale. I mulini e i battiferro dovevano essere dunque costruiti, come le filande dell'Ottocento, lungo le sponde della roggia, che faceva girare le ruote motrici degli ingranaggi interni. "Quindi sarà d'uopo di mantenere, recita l'articolo 2 del regolamento disciplinare del 1836, ed aumentare possibilmente la Sorgente d'acqua da cui derivasi il Rojale, e questa nella quantità e velocità necessarie al moto potendo di due ruote di Molino senza arbitrarie dispersioni, impedimenti od altro. E costantemente procurarvi puranco ogni miglioramento possibile per la più facile, perenne, e regolatamente copiosa fluenza dell'acqua, provvedendo in ogni modo che niuno degli usi degeneri in abuso, che non introducansi arbitrj, usurpi ec. " (8)